Il licenziamento è illegittimo, anche se per rifiuto della prestazione da parte del lavoratore, nei casi in cui siano violate le regole della correttezza e della buona fede.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la Pronuncia n° 11927 del 16.05.2013.
Il subordinato può rifiutarsi di eseguire la prestazione se il trasferimento di sede lavorativa è contro le regole della correttezza e della buona fede.
IL CASO.
Una società postale dopo aver disposto il licenziamento di un proprio dipendente, era stata condannata al reintegro del lavoratore licenziato.
L’Impresa nel riprenderlo al lavoro gli aveva assegnato una sede lavorativa diversa da quella in cui operava prima del licenziamento.
Il lavoratore non presentandosi nella nuova sede assegnata, veniva di nuovo licenziato per assenza ingiustificata.
Il dipendente allora ricorreva alle vie legali e sia in primo grado che in appello veniva accolte le proprie doglianze, annullando il provvedimento di licenziamento e ordinandone il reintegro.
L’azienda, a questo punto, produceva ricorso per Cassazione, in cui lamentava sia la carenza di motivazione del trasferimento che nulla aveva a che vedere con mere vessazioni, sia il comportamento irrituale del lavoratore.
Ma la Corte di Cassazione confermava l’annullamento del licenziamento, e respingeva il ricorso della società postale disponendo il reintegro del lavoratore.
Nelle motivazioni i giudici delle leggi affermavano “l’illegittimità del trasferimento”, in quanto trattavasi di decisione “che violava le regole della correttezza e della buona fede” che non hanno permesso al lavoratore di non opporre il rifiuto della prestazione, dopo l’ordine del datore di lavoro.